RESIDUI
Ogni città guarda al suo passato attraverso una lente temporale che ne altera la percezione. La stratificazione del territorio avvenuta nell’ultimo mezzo secolo ha reso però sempre più complessa la lettura delle sue trasformazioni, dei processi che le hanno determinate e delle conseguenze che ne sono scaturite, di quello che rimane e di quello che scompare. Accade così che gran parte del patrimonio architettonico del secondo Novecento non è stato in grado di radicarsi nella memoria collettiva sfuggendo, apparentemente, a qualunque processo di sedimentazione, rimanendo lontano dai riflettori della critica, ma soprattutto fuori dallo sguardo distratto della politica e della città.
Questo progetto fotografico vuole raccontare una parte di questa eredità costruita, uno tra i più ingombranti residui del “secolo breve”, il lascito di un fenomeno, quello industriale che, soprattutto in Sicilia, si è consumato talmente in fretta da rischiare oggi di scomparire senza lasciare traccia. Il paesaggio delle fabbriche che emerge da questi scatti si presenta ai nostri occhi come un parco archeologico della modernità, ruderi per i quali però sarà difficile riconoscerne e conservarne il valore, se non attraverso la memoria.
Un paesaggio di fabbriche che si è inserito come una impronta durevole sul territorio, instaurando un rapporto imprescindibile con preesistenze storiche e naturali, siano esse elementi di richiamo nella progettualità o pura cornice.
Ecco perché ci sembra necessario esplorare quel che resta a Palermo di questi luoghi, della loro industria effimera, dei loro spazi svuotati, delle ambizioni, delle storie, dei fallimenti; la fabbrica in quanto categoria rappresentativa della società moderna, luogo di lavoro e di produzione, di aggregazione, di vita pubblica e privata, di sperimentazione e tradizione, ma anche espressione architettonica di quelle specifiche istanze progettuali che la caratterizzano. Singoli episodi dislocati nelle aree in cui ragioni geografiche o di mercato hanno richiamato l’impiantarsi di piccoli e grandi nuclei produttivi, raramente riconducibili a veri e propri poli industriali; fabbriche nascoste oggi dietro alti condomini, nuovi recinti, inglobate nel tessuto urbano, ormai da tempo dismesse, spesso inaccessibili.
La loro dislocazione sul territorio s’intreccia alla complessa storia dei piani urbanistici che si susseguono, dal 1939 ad oggi, cercando di regolamentare la crescita della città, senza riuscirci; quella stessa pianificazione che da quest’anno ne prevede la demolizione, così che - come vuoti a perdere - le aree industriali dismesse sono diventate l’occasione per mettere in opera le ennesime manovre di speculazione edilizia residenziale.
Interrogarsi oggi sulla fabbrica, la sua presenza sul territorio, il suo ruolo nella costruzione del paesaggio contemporaneo, può aiutarci forse ad intraprendere una lettura più attenta e consapevole di questi luoghi, del loro significato e, non ultimo, del loro potenziale di riconversione - come vuoti a rendere - a supporto della città densificata.